di Ken Gborie Hindolo – Gospa Consulting
Non è il tempo a cambiare le cose, bensì le azioni. Un’affermazione sempre più vera anche per le sorti energetiche e strategiche dell’Europa. Ma per capire meglio di cosa si tratta, bisogna partire dall’estratto di un articolo del 2008 dello European Centre for Security Studies (“Europe’s Dependence on Russian Natural Gas: Perspectives and Recommendations for a Long-term Strategy”):
“Lo scenario a livello macro considera l’Europa come un acquirente unificato. Indipendentemente dal fatto che la Russia apra i gasdotti alla Cina, date le attuali politiche energetiche disparate nell’Europa allargata e nell’UE, la Russia sarà comunque in grado di esercitare diversi livelli di pressione sui prezzi sui singoli paesi europei, specialmente quelli senza una strategia di diversificazione del gas.” Questa analisi ha dimostrato la sua validità dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Come hanno riportato tutte le principali agenzie di informazione nel mese di giugno 2024: “La Russia supera gli Stati Uniti come principale fornitore di gas naturale per la prima volta dal 2022”. Un evento, alla luce dell’introduzione dell’analisi del 2008 che non si può di certo dire del tutto inaspettata. L’UE, ora lo sappiamo, ha avuto decenni per cercare di ridurre la forte dipendenza dal gas russo, mentre la Russia veniva percepita come una minaccia geopolitica ed economica crescente per l’Unione. Tuttavia, i Paesi europei non hanno mai intrapreso con la necessaria urgenza gli sforzi e le azioni indispensabili per ridurre la dipendenza dal gas naturale russo e mettere al sicuro i propri approvvigionamenti energetici. Come affermato in un report di presentazione del nuovo progetto REPowerEU (lanciato nel 2022 con l’obbiettivo di diversificare le fonti energetiche europee dopo lo scoppio della guerra in Ucraina) la Russia forniva circa il 40% di tutto il gas importato nell’UE prima dell’inizio del conflitto. Ma a cosa andrebbe attribuita questa inerzia nel cercare alternative valide al gas naturale di Mosca?
La risposta è articolata, ma affonda principalmente le sue radici nel complesso rapporto economico tra Europa e Russia oltre che al ruolo dei contratti a lungo termine, modalità prevalente di contrattazione sul mercato. I contratti a lungo termine tra il gigante energetico russo Gazprom e le compagnie energetiche europee erano infatti le modalità di negoziazione più comuni. Si tratta di uno strumento strategico che la Russia ha a lungo utilizzato nelle sue esportazioni di gas naturale, specialmente verso l’Europa. Grazie a ciò la Russia è riuscita a mantenere una presenza significativa nel mercato energetico europeo, garantendosi flussi di denaro costanti ed esercitando indirettamente anche un certo grado di influenza politica. Questo, nel corso degli anni, ha intensificato la dipendenza, bloccando di fatto i Paesi europei in accordi a lungo termine difficili da interrompere.
Storicamente, poi, la Russia ha anche usato una strategia di prezzo molto competitiva che ha attratto le nazioni europee cullandole nell’idea di forniture energetiche affidabili, a prezzi competitivi. Arrivando all’oggi, è più facile capire perchè l’Europa, nella sua tardiva strategia di sganciamento dal gas russo, abbia intrapreso una strada irta di ostacoli e di difficoltà. Un esempio? Di recente, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha firmato accordi per acquistare gas dall’Azerbaigian, nonostante sia risaputo che il gigante energetico russo Lukoil possieda una parte dell’infrastruttura vitale necessaria per consegnare questo gas all’UE. Si prevede infatti che la compagnia russa Lukoil guadagnerà 7 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, ancora una volta grazie alle decisioni europee. Quale futuro, quindi, per le scelte europee di emancipazione dal gas di Mosca?
Tenendo in considerazione la dipendenza energetica del Vecchio continente dall’esterno, si potrebbe pensare che i Paesi, molto probabilmente, tenteranno di tornare alla soluzione iniziale, più economica e più efficiente. Ma ci sono diversi scenari possibili, e in alcuni di questi l’unità europea, già scricchiolante, potrebbe anche subire dei contraccolpi esiziali, per via dei divergenti interessi nazionali. Una cosa è certa: il continuo aumento della dipendenza dal gas naturale russo favorirebbe, come è già successo, un potenziamento della “leva geopolitica” del Cremlino.
D’altronde, un grande esportatore regionale è colui che determina i prezzi piuttosto che quello costretto a subirli. Se questo è vero, le sanzioni possono limitare l’azione del grande esportatore regionale solo in minima parte, come è stato dimostrato negli ultimi mesi. Bisogna sottolineare, infatti, che la dinamica del mercato dei contratti a termine, e l’infrastruttura gasiera esistente tra Russia e Europa rappresentano una forma di resistenza alla volontà o capacità di riduzione della dipendenza dell’UE dal gas di Mosca. Non si può però nemmeno escludere del tutto uno scenario del tutto opposto: quello in cui l’Europa si rende indipendente dal gas naturale russo, contribuendo a spingere in termini geopolitici ed economici la Russia nell’angolo, riducendone la capacità di leva.
Come già detto, però, solo le azioni e non il tempo, determineranno l’evoluzione dello scenario.