di Lorenzo Freda – Go-Spa consulting
La spesa pubblica è un tema di grande rilevanza per l’economia di qualsiasi Paese, in quanto rappresenta la quantità di risorse che lo Stato investe per il benessere dei propri cittadini. Il debito pubblico, invece, rappresenta l’accumularsi anno dopo anno del disavanzo di bilancio statale (che si ha annualmente quando la spesa pubblica supera le entrate dello Stato). L’Italia, dopo la caduta della dittatura fascista vide una drastica contrazione del rapporto debito/PIL, che scese fino al 33%. Per quale motivo? Semplice: perché il costo del debito era inferiore al tasso di crescita, quest’ultimo in largo aumento anche per il periodo di boom-economico che il Bel Paese stava attraversando. “Se il debito aumenta ma è accompagnato dalla crescita non ci sono problemi” spiega infatti l’economista Alessandro Tentori. Arriviamo al 1968, anno caratterizzato da forti incertezze e tensioni di carattere finanziario e macroeconomico, accompagnate da continue politiche espansive errate: il rapporto debito/PIL si impenna. Inoltre, dal 1968 alla fine degli anni 90 la situazione economica subisce uno shock da offerta legato alla crisi petrolifera degli anni ‘70. Questo fa esplodere l’inflazione nel nostro paese, con conseguente svalutazione della lira. Ma negli anni Novanta, dopo la stipula del Trattato di Maastricht, l’Italia si trova costretta ad operare la convergenza macroeconomica ai parametri stabiliti per riuscire a far parte della moneta unica.
Dal 1994 al periodo pre-Covid l’Italia ha operato in avanzo primario (entrate fiscali>spesa pubblica). Allora ci domandiamo da dove deriva tutto questo debito. La risposta è da ricercare nel debito cumulato prima dell’ultimo decennio del secolo scorso. La vera causa è cioè legata ad uno squilibrio negativo dovuto agli oneri finanziari sul debito già in essere al tempo “t-1”. Questi oneri che lo Stato paga generano un aumento del deficit secondario, (oneri>avanzo primario), e questo al tempo “t” si tradurrà in ulteriore debito. Riassumendo: a monte abbiamo una spesa pubblica mal gestita. A valle abbiamo una spirale del debito autoalimentato dagli oneri finanziari (!). Dopo un breve calo dall’inizio degli anni 2000 fino al 2008 (anno della crisi finanziaria), si assiste a un costante aumento del rapporto debito/PIL, fino ad arrivare addirittura al più recente 146,4% (marzo 2023).
Partendo da questa parentesi sul passato, è quindi possibile analizzare le voci della spesa pubblica maggiormente rilevanti in Italia, in un momento in cui il rialzo dei tassi da parte della Banca Centrale Europea sta mettendo sotto pressione la sostenibilità dei conti pubblici italiani. Quest’analisi si propone dunque sia di provare ad analizzare al meglio l’andamento del debito pubblico, che di presentare una visione più chiara e omogenea della realtà economica che ci circonda.
Come detto, l’analisi del debito pubblico è strettamente legata alla spesa pubblica. Vogliamo perciò capire quali sono le macroaree che interessano la spesa pubblica italiana. I 3 macrosettori sono:
1. Difesa
2. Istruzione
3. Protezione sociale (welfare – benessere sociale)
Analizziamo ora le singole aree:
DIFESA
Per la difesa il budget messo a disposizione (dato 2021) è stato di €21,673 miliardi, pari a circa l’1,21% del PIL. Si tratta di una cifra ancora lontana dall’obiettivo del 2% richiesto dalla NATO, seppur in lieve crescita rispetto al passato. Il conflitto russo-ucraino ha riportato in auge l’importanza di un settore a lungo trascurato e che necessita di ingenti investimenti per avviare un importante processo di modernizzazione.
ISTRUZIONE
Il grafico ci propone l’incidenza percentuale della spesa totale per l’istruzione al netto della spesa in tutti i settori di Intervento. Possiamo analizzare come il trend sia chiaramente al ribasso. Nell’arco di 20 anni (2000-2020) vediamo come siamo passati da 6,75% ad un 5,05%.
Nel 2021, per l’istruzione, il nostro Stato ha messo a disposizione dei suoi cittadini poco più di 64 miliardi di euro. Stiamo parlando del 3,6% del PIL, quota rimasta pressoché stabile da 10 anni a questa parte, nonché una delle più basse all’interno dell’area euro.
PROTEZIONE SOCIALE – welfare
Si tratta di una voce di spesa alquanto vasta. Al suo interno sono presenti numerose aree tematiche, dai soldi destinati a coprire le malattie sul lavoro, a quelli destinati a dare sostegno alle famiglie e alle persone invalide, ma soprattutto… alle pensioni di vecchiaia! Nel 2021 per tale voce sono stati spesi ben € 313 miliardi pari a circa il 17,5% del PIL.
L’attuale trend demografico negativo, purtroppo, non lascia ben sperare per le casse pubbliche: quanto più la popolazione italiana invecchia, tanto più le tasche dello Stato si svuotano!
È POSSIBILE UN EQUILIBRIO?
Trovare un punto di equilibrio tra entrate e uscite pubbliche è l’arduo compito che spetta a chi governa il nostro Paese. La modalità più virtuosa per preservare la sostenibilità del debito pubblico è indubbiamente quella di avere una buona e duratura crescita economica. A tal fine, guardando alla composizione della spesa pubblica, è estremamente importante che aumenti la quota di “debito buono” (per usare la definizione data da Mario Draghi nel 2020) cioè finalizzato a supportare gli investimenti infrastrutturali, in grado di rilanciare la crescita economica del paese. Ad oggi il sistema Italia si basa però su misure di assistenzialismo, che si riflettono in un’ingente quantità di risorse destinate alla previdenza sociale e al sistema sanitario nazionale, a discapito delle politiche di investimento per la crescita economica. Inoltre, gli oneri finanziari si fanno sempre più rilevanti, sia perché la mole del debito pubblico cresce, sia a causa del rialzo dei tassi di interesse deciso dalla Banca Centrale Europea. Un bel grattacapo per qualsiasi governo di ieri, oggi e domani. E un problema strutturale che vede proprio nella demografia, e in particolare nei più giovani, sia il punto di fragilità che la principale speranza per poter invertire questo corso insostenibile di aumento inesorabile del debito pubblico.