Dobbiamo al grande poligrafo comasco, di cui tra qualche anno ricorrerà il bimillenario dalla nascita, la raccolta più compiuta di testimonianze sul grande naufragio della pittura antica.
Perso nella sua monumentale Naturalis Historia, c’è anche un piccolo capitolo poco conosciuto (il 147 del Libro XXXV): quello sulle pittrici. Pochi i nomi sopravvissuti a mondi e resoconti storici di implacabile impronta maschile. E tutti greci: Timarete di Atene (V sec. a.C.), Aristarete (di epoca indefinita), Olympias (forse del III sec. a.C.), Kalypso (anche lei probabilmente del III sec. a.C.), Eirene (a cavallo fra III-II sec. a.C.).
E su tutte Iaia di Cizico, “perpetua virgo” (quindi libera da mariti padroni), greca ma attiva a Roma fra II e I secolo a.C., autrice su tavola e avorio soprattutto di ritratti femminili: “Si fece anche un autoritratto, allo specchio. Nessun’altra mano fu più veloce a dipingere e con tanta arte da superare i due ritrattisti più celebri dell’epoca, Sopolis e Dionysos, le cui tavole riempiono le pinacoteche”.
Nella totale assenza della pittura d’autore dell’arte antica non ci resta che immaginarla sulla scia delle pittrici ritratte negli affreschi di Pompei, nelle miniature medievali delle Donne famose di Boccaccio (dove passa alla storia come Marcia) o nel quadro dipinto nel 1672 da Michel Corneille per il Salon des Nobles a Versailles (in buona compagnia prefemminista con Penelope, Saffo e Aspasia).
Torna alla memoria quello struggente verso della poetessa Sulpicia (altra rarità, una scrittrice romana nel I sec. a.C.), che visse qualche decennio più tardi:
“Hic animum sensusque meos abducta relinquo”
“Trascinata altrove è qui che abbandono/ Il mio animo e gli affetti”.
Luca Traini