Commento musicale: Vivaldi, L’Olimpiade, Ouverture
La distanza fra noi e Pietro Trapassi da Roma (1698-1782), cognome traslato in greco dal fondatore dell’Arcadia poetica Gian Vincenzo Gravina, se non è di 240 anni luce è certo 240 anni voce, comunque un abisso. Festeggiamo quindi la viva inattualità di uno dei poeti più importanti del Settecento europeo. Inattualità più recente nella forma, perché il suo linguaggio melodico, che pareva già scrivere note musicali in forma di alfabeto, è rimasto pulsante fra le righe dei pentagrammi nelle canzoni fino ai primi Festival di Sanremo. Più remota, ma per me più affascinante fin dai tempi dell’università, la distanza nei contenuti, quelli di uno scrittore politicamente impegnato e – perché no? – “embebbed” sul fronte del teatro a sostegno dell’assolutismo illuminato (leggi Vienna, Sacro Romano Impero, Asburgo, i suoi datori di lavoro dal 1729).
“Una lenta prudenza ai gran perigli”
Commento musicale: J. A. Hasse, Siroe re di Persia, “Fra l’orror della tempesta”
Ordine, chiarezza, equilibrio e razionalità uniti a una semplicità apparente: parole chiave della sua educazione cartesiana ottime, a XVIII secolo inoltrato, per l’ingresso sulla scena come a corte. Poeta, musicista e attori disposti nel seguente ordine gerarchico, ciascuno con un ruolo chiaro e definito come una buona amministrazione che si rispetti, schierati come un esercito in cui l’abituale aspetto mercenario fosse quanto più possibile in ombra. Il potere assoluto, del letterato come dell’imperatore o dell’imperatrice (Carlo VI, Maria Teresa), mascherato da una benevola egemonia, un dispotismo gentile. Al mezzogiorno di un Re Sole già tramontato – i drammi del Grand Siècle sono altra fonte d’ispirazione per il Nostro – succede un pomeriggio da ora del the (gentilmente concesso dai padroni di casa).
La musica è meno controllabile di un testo scritto. Le reazioni a questa libertà, per quanto riguarda la sola Europa, si erano già viste in epoca antica quando Timoteo di Mileto aveva aumentato il numero di corde della cetra incontrando il biasimo degli spartani o, in tempi più recenti, quando Lutero aveva condannato la polifonia, decretando un’opera di semplificazione del canto sacro che Calvino aveva portato alle estreme conseguenze a Ginevra perché “soltanto nella parola di vita Dio vuole essere lodato”. Sollecitazioni a cui anche il cattolicesimo della prima Controriforma non era rimasto sordo e che attraverseranno sottotraccia i secoli successivi, riaffiorando nei periodi di grande cambiamento, fino ai “mea culpa” di Shostakovich nei confronti del “realismo socialista” staliniano.
Se la composizione delle lettere doveva guidare quella delle note – e ribaltare una subordinazione che si presumeva degenerata in anarchia da quasi un secolo – occorreva naturalmente una musicalità già insita nel verso scritto, abilità dimostrata da Metastasio fin dalla più tenera età (il Gravina l’aveva notata quando il Trapassi era un dodicenne apprendista nella bottega di un orefice). Ma non era sufficiente: occorreva il sostegno di un mito da ritorno alle origini, tipico delle società preindustriali e motore, presunto immobile, del cambiamento (termini come “sviluppo” e “progresso” era ben di là da venire). Nel caso del melodramma si trattava quindi di rinnovarne la matrice originaria definita dalla Camerata de’ Bardi in Firenze tra Cinquecento e Seicento – col padre liutista di Galileo Galilei in prima fila – sulla base degli studi sul teatro greco antico dal Rinascimento in poi.
“Il tempo è infedele a chi ne abusa”
Commento musicale: C. W. Gluck, Ezio, “Pensa a serbarmi, o cara”
Per questo ho inserito come commento musicale all’inizio proprio il suo capolavoro, L’Olimpiade, nella versione da me più amata, quella musicata da Vivaldi a Venezia nel 1734 – chissà con quali libertà, data la location! – appena un anno dopo l’originaria, tetragona rappresentazione viennese. Il dramma – che, come tutti quelli vergati di sua mano, non può avere che un lieto fine (dopotutto era il figlio di un soldato riciclatosi come salumiere diventato “poeta cesareo” di un impero) – racchiude in sé l’omaggio alla Grecia patria della ragione filosofica e, in particolare, alla Poetica di Aristotele e di Orazio a cui in tarda età avrebbe dedicato approfonditi commenti. Un potpourri classicista ancora lontano dal neoclassicismo vero e proprio che avrebbe trovato la sua consacrazione col “dramma per musica da rappresentarsi nell’imperial corte da dame e cavalieri” Il re pastore (1751), simbiosi tanto perfetta (quanto effimera) di eredità ellenistiche e bibliche (il Buon Pastore del Vangelo di Giovanni), dove un imperatore (Alessandro Magno), eliminando un tiranno, ristabilisce sul trono di Sidone “l’unico rampollo della legittima stirpe reale che ignoto a sé medesimo povera e rustica vita traeva nella vicina campagna”. Musica per le orecchie di un’imperatrice come Maria Teresa, scampata alla mina vagante Federico II di Prussia e riconosciuta come legittima regnante dal trattato di Aquisgrana del 1748. Quando la politica non finisce ma inizia in canzone. Quando l’ideologia del dispotismo illuminato prende forma e si distende in arie dopo aver calibrato a dovere i recitativi.
Tempo di ricostruire, tanto nella cosa pubblica quanto nel relativo palcoscenico, perché la riforma metastasiana produrrà tutta una serie di influssi – e forse proprio questa è la sua attualità – che produrranno quel tipo di rappresentazione caratterizzato da un pubblico attento – almeno nelle prime file (all’inizio) – e in silenzio (ma questa sarà una conquista in pieno XIX secolo) che contraddistingue il nostro andare all’opera o a teatro (un po’ lo stesso rispetto che si ha per gli anziani, perché i media dove ci si accapiglia oggi sono altri).
Comunque i primi a trarne spunto saranno il mio amato Goldoni, per la commedia (vedi il lieto fine). E l’amatissimo Gluck, per l’opera lirica (lieto fine fino a un certo punto). Due innovatori di estrazione piccolo borghese come Metastasio – il primo figlio di un farmacista, il secondo di una guardia forestale – nobilitati come lui dalla strenua convinzione di un’arte da realizzare in uno stabile, preciso contesto politico culturale.
“Monarca della Tragedia Italiana cantata da Cesari e Catoni non uomini” (Ugo Foscolo)
Commento musicale: Venanzio Rauzzini, L’eroe cinese, “Porgi, o caro amato bene”
Con Mozart e Haydn, anch’essi debitori del poeta cesareo, cambiano i tempi. Con la Rivoluzione Francese e quanto ne consegue ha inizio una nuova liberazione, sociale e quindi artistica, di musicisti e attori e Pietro Trapassi, con tutta la sua cauta soggezione, finisce per diventare oggetto di scherno – in primis da parte del nostro grande Vittorio Alfieri, aristocratico che non gradiva più gli inchini a Maria Teresa del librettista plebeo nobilitato – e sprofonda nel grande cono d’ombra alle spalle di tutte le avanguardie artistiche della Seconda Rivoluzione Industriale (riemergendo trasfigurato, giusto per fare qualche esempio, nell’importanza data ai testi dai cantautori, impegnati, della seconda metà del Novecento).
Oggi, in preda a tutta una serie di dubbi – e nelle macerie di un postomodernismo che ha tolto valore all’analisi storica mescolando a casaccio parrucche incipriate, cappelloni, chieriche e teste rasate, sacri e profani – dobbiamo fare ancora una volta i conti con Trapassi/Metastasio. Che specie di ordine dobbiamo dare alla scrittura nei diversi contesti in cui la dobbiamo inserire? Riprendiamo la sua lezione o la contestualizziamo per andare oltre? La mia risposta è la seconda. E l’avevo scritto in un dramma incompiuto di qualche anno fa, I re pastori, inserito, a partire dal 1999, nel più ampio lavoro TEATRI DI GUERRA Il dramma della scrittura. Sul palco, oltre al poeta, la sovrana e il fidato ministro Kaunitz.
Episodio 6 Arcadia al potere
Buio. Dei servitori in livrea entrano in scena e accendono dei candelieri. La luce man mano illumina la presenza dei tre personaggi immobili come statue che prendono vita. L’inizio dell’aria “Aer tranquillo e dì sereni” da “Il re pastore” di Metastasio nella versione di Mozart accompagna i loro gesti. Poi la musica svanisce e i servitori escono.
Kaunitz
La grazia dei versi che Metastasio elargisce ai suoi compositori e quindi al pubblico sta alla grazia che voi concedete ai vostri sudditi. È un’equazione degna di Leibniz, non trovate, maestà? Che le riforme siano reali anche nel senso di sovrane, una concessione e non un diritto come sembrano sostenere certi francesi. Ma, si sa, in quanto all’opera e anche alla musica in Francia sono rimasti piuttosto indietro.
Maria Teresa
Lo dico spesso a mia figlia Maria Antonietta che devono trovare anche un compositore come si deve. Ma il re suo marito sembra più interessato agli orologi. Quelli si fermano e li si può ricaricare, ma l’orologio della storia non si ferma mai. Dovrebbe appassionarsi ai metronomi. Ricorda quando le spedimmo il nostro migliore musicista, il signor Gluck?
Kaunitz
Lo ricordo bene: era il 1774 ed erano ancora principi. E la principessa era particolarmente contenta di rivedere il suo vecchio maestro di musica. Si impegnò non poco per l’allestimento di una sua opera e, se non sbaglio, fu presente tutta la famiglia reale al successo della rappresentazione. Una prima.
Maria Teresa
Peccato sia stata l’ultima di Luigi XV. Caso vuole che di lì a qualche giorno il re sia finito preda del vaiolo durante una partita di caccia.
Kaunitz
E’ vero: morì pochi giorni dopo. Però vostra figlia divenne regina. E… Perdonatemi, maestà, non ricordo il titolo dell’opera.
Maria Teresa
Ifigenia in Aulide.
Kaunitz
Ah.
Maria Teresa
Già. Il sacrificio della figlia di un re, che solo i trucchi della poesia e del teatro hanno saputo rendere meno orrendo. Mi chiedo se non sarebbe stato meglio allestire un’altra messinscena con i tempi che corrono. Lei che ne dice, poeta?
Metastasio
Io, maestà, avrei scelto Le cinesi. Lo stesso Gluck, se ricordate, le aveva messe in musica nel ’54. E’ vero che erano passati vent’anni, ma la moda per le cineserie non è mai passata.
Maria Teresa
Mi chiedo perché non abbiamo insistito… Un viaggio ai confini del mondo è un’ottima distrazione.
Kaunitz
O Il re pastore, meglio ancora. Stesso compositore, stessa musica. E questa moda spero non passi mai.
Metastasio
“Sollevar gli oppressi,
Render felici i regni,
Coronar la virtù.
A fabbricarvi il trono
La mia fortuna impegno;
Ed a tanta virtù non manca un regno”.
Maria Teresa
Versi sublimi!
Kaunitz
E di meravigliosa utilità.
Maria Teresa
Ma questi francesi adesso si sono intestarditi a volere sempre una prima.
Si bloccano come automi o le statue di prima. I servitori tornano in scena, questa volta senza musica, e spengono le luci con una fretta che contrasta col fare compassato dell’inizio.
Voce fuoriscena
Anche l’Arcadia aveva i suoi problemi. I bravi pastori, forse cercando una pecora uscita dal gregge, avevano trovato chi dice un teschio chi sostiene una tomba. La morte, con tutto quello che ne consegue, era quindi già lì.
Buio.