di Martina Besana – Go-Spa consulting
Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica: questa è la nuova denominazione dell’oramai ex Ministero della Transizione Ecologica: ministro è l’on. Gilberto Pichetto Fratin, in sostituzione di Roberto Cingolani, che rimarrà consulente di Palazzo Chigi per l’energia. Si tratta di un cambio lessicale dei nuovi dicasteri in cui però è possibile scorgere anche alcune delle intenzioni politiche del neo-governo guidato da Giorgia Meloni. Non è casuale, ad esempio, come sottolineato da Il Sole 24 Ore, l’attribuzione delle competenze in materia di PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) al Ministero degli Affari europei, dato che sull’attuazione delle riforme che fanno parte del Piano e dell’elargizione dei relativi fondi, vigila Bruxelles. Tanto si è poi già discusso della ridenominazione del nuovo Ministero per il Sud e per il Mare, del Ministero per le Imprese e il Made in Italy o di quello per l’Agricoltura e la Sovranità alimentare. Ma aldilà del taglio politico che si è voluto dare a questo cambiamento di forma, è interessante notare invece il cambio paradigmatico che soggiace alla ridenominazione del Ministero che prima racchiudeva in sé il tema cruciale della protezione e la tutela dell’ambiente, ovvero la transizione ecologica. Il passaggio alla sicurezza energetica è sintomatico di un cambio di sensibilità che va oltre il mero aspetto politico, per abbracciare un ambito a monte del complesso processo della transizione energetica: la sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
Tema riemerso con violenza a seguito dell’invasione russa in Ucraina, quando la gran parte dei Paesi europei si è ritrovata praticamente senza alcuna protezione contro la potenziale minaccia del Cremlino di chiudere i rubinetti del gas, risorsa della quale l’Europa era dipendente per circa il 40% del proprio mix energetico. Non a caso dopo febbraio 2022 il Green Deal Europeo (varato solo due anni prima ad inizio Pandemia) ha lasciato progressivamente il posto al piano REPowerEU, promosso dalla Commissione europea in risposta alle difficoltà e alle perturbazioni del mercato energetico globale causate dalla guerra in Ucraina. Sul sito della Commissione si legge che il REPowerEU dovrebbe indirizzarsi a tre obbiettivi principali: risparmiare energia, produrre energia pulita e diversificare le forniture energetiche. Un approccio più pragmatico e orientato alla sostenibilità delle forniture energetiche (e non dell’impatto ambientale delle risorse o tecnologie utilizzate per produrre energia!) senza alcun cenno ai target molto più ambiziosi del Green Deal, che invece si propone(va) di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Uno dei principi chiave che dovrebbe condurre l’Europa a raggiungere lo status di primo blocco climaticamente neutro include lo sviluppo di un settore energetico basato in gran parte su risorse rinnovabili.
Il processo di abbandono del gas a favore di fonti rinnovabili come l’eolico, l’idroelettrico e il solare era quindi già ampiamente avviato nei Paesi europei, convinti (legittimamente) che la transizione ecologica non avrebbe più potuto aspettare. Il conflitto in Ucraina ha però rimescolato le carte sul tavolo dell’Unione Europea, e ovviamente dei suoi paesi membri, in primis quelli che, come l’Italia, erano fortemente dipendenti dall’importazione di gas siberiano per la produzione di elettricità a livello nazionale. L’Europa si è trovata a fare il passo più lungo della gamba: abbandonare il combustibile fossile di cui era più bisognosa senza poterlo sostituire integralmente con fonti alternative. L’abbandono del gas russo si è imposto come imperativo per ridurre l’introito economico del Cremlino con cui Mosca avrebbe finanziato la sua macchina bellica. Ancora prima, però, che i paesi europei decidessero sull’effettivo abbandono del gas di provenienza russo o sull’imposizione di un tetto ai suoi prezzi, la Russia ha unilateralmente ridotto i flussi di metano in arrivo in Europa. Il conseguente disequilibrio tra offerta e domanda si è riflesso sul mercato energetico del gas con forti rialzi nei prezzi che hanno raggiunto le quotazioni record di oltre 300 €/MWh sulla borsa del gas di Amsterdam. Nei mesi scorsi è dunque prevalso il tema della sicurezza dell’offerta energetica, spostando il focus dalle scelte dei governi su come e quando attuare la transizione energetica verso le rinnovabili.
Le minacce russe hanno indotto la Commissione europea e i governi a definire come priorità il controllo dell’offerta di energia, aspetto che per anni era stato ritenuto scontato o semplicemente sottovalutato. La guerra ha definito il cambio di approccio dell’UE verso il tema della transizione ecologica inducendola ad adottare un atteggiamento più schietto che ha portato i diversi paesi membri a diversificare maggiormente i propri approvvigionamenti sia di gas via tubo che di gas naturale liquefatto (meglio noto come GNL). Garantire la sicurezza in ambito energetico significa soprattutto concentrare gli sforzi dell’apparato pubblico nell’assicurare che il comparto industriale e le famiglie possano accedere all’energia di cui hanno bisogno senza dover incorrere in forzati razionamenti. Di fronte a ciò la tipologia di fonte energetica e come essa viene prodotta sono aspetti che passano inevitabilmente in secondo piano. Come è stato evidenziato dalla scelta del governo tedesco, che ha riaperto le centrali a carbone (uno dei combustibili fossili più inquinanti!) in nome della propria sicurezza energetica, così come dal rinnovato interesse dei governi dell’Europa meridionale di investire in ulteriori metanodotti che favoriscono un maggior flusso di gas (vedi progetto del gasdotto del Mediterraneo orientale, o semplicemente EastMed).
Il passaggio della transizione energetica che avrebbe dovuto puntare il tutto per tutto sulle energie rinnovabili ha quindi decisamente subito una decelerazione rispetto all’entusiasmo iniziale del Green Deal europeo. Ciò non significa che la transizione verso fonti di energia più sostenibili sia destinata ad essere chiusa nel “cassetto dei sogni” dell’UE, ma più probabilmente che le scadenze e i tempi dettati per attuare questa rivoluzione energetica erano forse poco realistici per le reali capacità dell’economia europea di adeguarvisi. Il risultato di questa repentina presa di coscienza, per certi versi drammatica, è stato anche sintetizzato nella ridenominazione del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica italiano. Esso segnala la priorità di quest’ultima rispetto alle tempistiche di decarbonizzazione. Il vero banco di prova dell’Europa sarà con tutta probabilità nella sagacia necessaria per combinare la sicurezza degli approvvigionamenti, attraverso una più attenta diversificazione dei fornitori, con un adeguato piano di transizione verso fonti energetiche più sostenibili. Fonti che per essere definite sostenibili a 360° dovrebbero necessariamente mirare anche alla tutela dell’autonomia strategica europea.