Il recente scoppio delle ostilità israelo-palestinesi è solo l’ultimo di una serie apparentemente scollegata di nuovi conflitti e scontri che sembrano emergere come “fiori in primavera” dopo anni, se non decenni, in cui il mondo sembrava apparentemente in pace. Si tratta infatti di una “sequenza di scossoni” che da alcuni mesi sta colpendo l’ordine politico internazionale sotto la guida di Washington.
L’attacco senza precedenti dalla Striscia di Gaza dei militanti dell’organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista Hamas, che hanno sfondato la barriera di sicurezza di Israele e hanno devastato le comunità vicine, scatenando la violenta reazione dell’esercito israeliano, potrebbe sembrare più grave di altri. Ma già l’attraversamento del confine russo-ucraino lo scorso febbraio 2022 da parte dei carri armati di Mosca aveva infranto le speranze di chi credeva che i valori democratici e la pace sarebbero divenuti delle costanti nelle relazioni tra Stati.
Gli apparenti “disordini geopolitici” a cui assistiamo senza tregua sono tutti legati da un minimo comune denominatore: accadono mentre gli americani, in “teoria e in pratica” responsabili della tenuta dell’ordine internazionale, sono occupati più o meno direttamente su due fronti: in Ucraina contro la Russia e nel Pacifico in funzione anticinese, senza possibilità di mantenere una supervisione attiva e costante su altre zone del mondo più instabili.
Dal febbraio 2022 numerosi episodi confermano questo nuovo “disordine globale”: lo scoppio della guerra tra l’esercito e i paramilitari in Sudan, che continua sottotraccia senza una concreta possibilità di risoluzione; il colpo di Stato in Niger di fine luglio 2023, che segna l’inizio della fine della Francafrique, cioè la relazione “speciale”, di stampo neocoloniale, stabilita tra la Francia e le sue antiche colonie nell’Africa subsahariana. Il presunto coinvolgimento del gruppo di mercenari Wagner affiliato a Mosca, presente stabilmente in altre ex colonie francesi (Mali, Repubblica Centrafricana, Burkina Faso), ha aggravato le conseguenze strategiche per l’Europa, che ne esce sempre più indebolita nei contesti extra-europei; la guerra-lampo in Nagorno-Karabakh di fine settembre intentata dall’Azerbaijan contro l’exclave armeno della Repubblica d’Artsakh ha poi rafforzato il ruolo della Turchia, alleata dell’Azerbaijan e membro instabile e non allineato agli interessi occidentali, “fuori e dentro” l’Alleanza NATO. L’attacco missilistico di Hamas dalla Striscia di Gaza contro Israele di sabato 7 ottobre scorso ha quindi messo in luce come il tentativo Occidentale di pacificazione Mediorientale, giunto all’ultimo capitolo con la firma degli Accordi di Abramo nel 2020 tra Israele e alcuni Paesi arabi (che avrebbe dovuto fare da anticamera ad un accordo d’intesa con l’Arabia Saudita), non abbia avuto gli effetti sperati. Da una parte l’Europa è ormai l’unica a non aver avanzato alcun piano di pace per provare a porre rimedio al conflitto a lei più prossimo, cioè quello in Ucraina, dopo numerosi tentativi stilati da competitor e nemici illustri (Cina in testa).
D’altro canto, sono gli stessi Stati Uniti a presentarsi sempre più come garanti sempre meno credibili dell’ordine globale da loro stessi creato. Due esempi confermano questa ipotesi: la prima è il ritiro rocambolesco dall’Afghanistan nel 2021 che ha decretato il fallimento dell’operazione di stabilizzazione del teatro afghano, il secondo sono le affermazioni di Jake Sullivan, Consigliere sulla Sicurezza Nazionale, appena una settimana prima dello scoppio delle ostilità in Israele secondo cui: “La regione mediorientale è più stabile oggi di quanto non lo fosse mai stata negli ultimi due decenni”. Probabilmente il primo step per non essere più colti di sorpresa di fronte a crisi come quelle appena descritte è prendere coscienza che mantenere un ordine apparente di pace per una minima parte della popolazione mondiale, tra cui gli europei, è un’operazione costosa. Non esiste alcun equilibrio internazionale che sia destinato a durare per sempre senza una costante e dispendiosa manutenzione da parte di un garante (negli ultimi trent’anni gli Stati Uniti attraverso il potere militare, economico-finanziario e il soft power). Bisogna essere coscienti di ciò in un contesto in cui lo stesso “padrino dell’ordine” sarà sempre più impegnato a gestire crisi locali o regionali, nell’ottica di contenere il principale sfidante, la Cina, la cui minaccia strategica è sempre più incombente. L’Europa deve cioè rendersi conto che la pace ha sempre un prezzo: meglio quindi agire preventivamente, riscoprendo la faticosa arte della diplomazia e del compromesso, senza aspettare che la Storia, come già accaduto, bussi alla porta per chiedere il conto non ancora saldato.