di Cosimo Graziani – Go-Spa Consulting
La data del 5 novembre 2024 potrebbe aggiungersi a quelle che hanno segnato la storia degli Stati Uniti. Quel giorno gli americani saranno chiamati (l’articolo che segue è stato scritto e terminato in data 3 novembre 2024) ad eleggere il nuovo presidente, scegliendo tra il repubblicano Donald Trump e la democratica Kamala Harris (ci sarebbero anche dei candidati indipendenti, ma non sono mai stati eletti e anche stavolta la regola sarà confermata). Due candidati differenti in moltissimo aspetti: il primo imprenditore della costa est e già eletto presidente (nel 2016); la seconda vicepresidente in carica, proveniente da una famiglia di immigrati e cresciuta in California. Per non parlare delle loro posizioni politiche: Trump fautore di un’America che guarda più all’interno che al suo ruolo internazionale; Harris che in questi ultimi quattro anni con Biden ha ribadito, seppur non con lo stesso slancio del passato, che gli Stati Uniti continuano ad essere presenti nello scacchiere internazionale. La domanda che tutti ci poniamo è: quali saranno gli effetti in politica interna ed estera a seconda del risultato. In questo senso è bene distinguere i temi su cui vogliono agire i due candidati: l’economia, la politica estera e quella interna. Tre contesti che però devono essere messi in relazione per avere un quadro più preciso sugli scenari che si possono aprire da qui a pochi giorni.
Sull’economia Trump ha promesso la riduzione dell’inflazione, tagli fiscali e politiche protezionistiche: in poche parole dovrebbe dare seguito alle azioni già intraprese nel suo precedente mandato. Passando alla politica estera la sfida con la Cina continuerà e in Medio Oriente il sostegno a Tel-Aviv dovrebbe rafforzarsi (non dimentichiamoci che i patti di Abramo, cioè gli accordi che dovevano avvicinare Israele ai Paesi arabi della regione erano stati raggiunti durante il suo mandato e che il genero Kushner aveva curato personalmente i rapporti con Israele). Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, tale quadrante non è considerato un affare di sicurezza nazionale per il fatto di essere direttamente collegata al ruolo della Nato, la cui gestione a carico degli Stati Uniti è stata più volte criticata dal tycoon.
Nella piattaforma democratica il focus economico è sul sostegno al ceto medio, l’aumento delle tasse ai redditi più alti, con un orientamento al commercio globale più sostenuto. Nella politica estera la Harris dovrebbe continuare nella direzione tracciata dal presidente Biden: sostegno all’Ucraina ed a Israele (ma con un occhio alla questione palestinese, considerando che la minoranza araba negli Stati Uniti incomincia a far sentire la propria voce) e confronto con la Cina, cercando il dialogo dove possibile, una sostanziale differenza rispetto alle posizioni di Trump. Le questioni interne, essendo quelle che alla fine mobiliteranno la maggior parte degli elettori, hanno caratterizzato lo scontro tra i due candidati, soprattutto quella migratoria. Senza dimenticare l’annosa “questione morale” riguardante l’aborto che si intreccia con gli affari interni, soprattutto per le prerogative statali rispetto a quelle federali. Ma l’alleggerimento della posizione rigida del candidato repubblicano rispetto al suo primo mandato su questo punto, ha fatto sì che il tema non abbia avuto la stessa valenza che ebbe nel 2016 e nel 2020.
Come si intrecciano tutti questi temi? Se Trump dovesse vincere, il ruolo internazionale degli Stati Uniti ne uscirebbe probabilmente ricalibrato, con un ridimensionamento della presenza americana in Europa con conseguente concentrazione sull’Asia. Ci sarebbe poi una spinta più vigorosa verso una potenziale pace, o altre formule per fermare il conflitto, in Ucraina con la Nato “alleggerita” nel tentativo di far ricadere le spese per la difesa ai Paesi europei. I mezzi economici sarebbero spostati verso il confronto con la Cina in modo da applicare ulteriori misure a protezione dell’economia americana. La questione migratoria sarebbe affrontata nuovamente con il famigerato muro che divide Stati Uniti e Messico e altre politiche restrittive in tema di accoglienza, il che – combinato con le misure protezionistiche – realizzerebbe il programma repubblicano tout court. Quello che colpisce, a livello economico, è che la postura di Trump contro la Cina potrebbe essere replicata anche nei confronti di altri Paesi, inclusi gli europei, nel caso in cui in qualche capitale della sponda est dell’Atlantico ci fossero reazioni negative all’indebolimento della Nato. Poiché nei confronti di Pechino Trump, così come Biden (e probabilmente anche Harris) ha imposto dazi, non è da escludere che possa farlo anche contro Paesi alleati. Ciò significherebbe però l’inizio del declino dell’integrazione economica occidentale, soprattutto se questo trend si combinasse al decouplling nei confronti della Cina, con la rottura dell’integrazione economica mondiale come l’abbiano conosciuta negli ultimi trent’anni.
Con Kamala Harris un tale scenario è meno plausibile perché il ruolo americano nello scacchiere internazionale non dovrebbe subire cambiamenti così eclatanti rispetto al ruolo in Europa ed in Asia (almeno secondo quanto è stato professato durante la campagna elettorale!). Per l’attuale presidenza la Nato rimane importante e non si intravede al momento la volontà di imporre dazi nei confronti dei Paesi europei. In caso di tensioni politiche, non ci sarebbe quindi una competizione economica con gli alleati ma solo con la Cina. Nonostante ciò, con Pechino il dialogo potrebbe continuare su temi come il cambiamento climatico, sulla scia dell’accordo raggiunto a novembre dello scorso anno sulla riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili. In termini economici per l’economia americana un tale scenario potrebbe rivelarsi un contesto favorevole per gli investimenti stranieri nel Paese a Stelle e Strisce, senza che ci sia un danneggiamento profondo del commercio globale. L’unica eccezione, in questo caso, sarebbe la probabile introduzione di un controllo nazionale sugli investimenti nei settori strategici nel quadro della competizione con la Cina, soprattutto per quanto riguarda le tecnologie avanzate come i microchip.
Che America sarà quella che uscirà dalle urne tra pochi giorni? Ancora difficile predirlo, ma quel che è certo è che in poche occasioni nei quasi due secoli e mezzo di storia statunitense, le elezioni presidenziali hanno avuto così tanta attenzione come quest’anno.