di Giusy Marotta – GO-SPA CONSULTING SRL
Il 2021 può essere considerato l’anno della lotta al cambiamento climatico. Vari sono stati gli eventi che hanno visto protagonista il brainstorming dei leader di quasi tutte le potenze mondiali, uniti per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015.
Prevista per il 2020, la CoP26, ossia la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, era stata annullata causa pandemia da Covid-19. Ma se da una parte il coronavirus ha chiuso il mondo in una bolla di solitudine, dall’altra ha ridotto temporaneamente i livelli di inquinamento. È per questo motivo che l’ONU ha deciso di riorganizzare la CoP26 nel 2021, riunendo quasi tutti i Paesi della terra a Glasgow. In vista della Conferenza, il Vertice del G20 ha fatto da apripista per le future trattative: di fatto sono emersi più volte i riferimenti alla “Rome declaration”, riaffermando il proprio impegno a rispettare l’Accordo di Parigi e la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
In tale sede, sono state confermate le intese per evitare l’innalzamento delle temperature al di sopra di 1.5° (anziché 2°) e l’erogazione, da parte dei Paesi Sviluppati ad erogare un aiuto finanziario di 100 miliardi all’anno per i Paesi a basso reddito. A tale cifra l’Italia contribuirà stanziando 1.4 miliardi all’anno, come ha dichiarato il premier Draghi durante la conferenza in chiusura. L’intento è di arrivare ad azzerare l’emissione di gas a effetto serra a livello mondiale, sostituendo i finanziamenti pubblici internazionali per la produzione di energia da carbone entro il 2021 con nuovi incentivi allo sviluppo di un’energia verde e all’utilizzo di tecnologie sostenibili e rinnovabili. In piano c’è anche il progetto di diverse riforestazioni per un totale di 1000 miliardi di alberi entro il 2030, negli ecosistemi che durante gli ultimi anni sono stati maggiormente colpiti dagli effetti della crisi climatica.
– Ma veniamo ai reali risultati ottenuti nei giorni di trattative.
Forse essere ottimisti è pericoloso, ma il segnale è non solo forte ma quasi storico.
195 Stati riuniti per due settimane intorno a un tavolo per raggiungere un passo avanti: si tratta già di qualcosa di importante. I cosiddetti Grandi appaiono tutti meno fumosi e, complice forse anche la pandemia, si ha la sensazione di un cambio di rotta reale verso un futuro sostenibile. Resta, dunque, la positiva sensazione che il tema sia finalmente diventato prioritario. Tutti i Paesi del mondo hanno firmato questo accordo per accelerare con maggior ambizione il target dei 2° di riscaldamento previsti da Parigi fino a 1.5°. Questa è una “conditio sine qua non” necessaria per partecipare a questa sfida, che è molto più dura di quella stabilita dall’Accordo di Parigi. Si assiste ad un’inattesa dichiarazione congiunta tra Cina e Usa sul clima: due Paesi che si impegnano a collaborare per «un risultato ambizioso, equilibrato e inclusivo in materia di mitigazione (minori emissioni), adattamento e sostegno finanziario» e più in generale ad «adottare misure rafforzate per aumentare le ambizioni» entro il 2030. Pechino afferma che «farà del suo meglio per accelerare» i suoi piani per ridurre il consumo di carbone nella seconda metà di questo decennio. E per la prima volta si allinea a Washington per ridurre le emissioni di metano, accettando di condividere la tecnologia. Volontà del tutto inaspettata se si considerano le ripetute rappresaglie vicendevoli durante l’amministrazione Trump.
Il presidente della Cop26, Alok Sharma, si dice però rammaricato perché il negoziato si è concluso con il passaggio annacquato nella bozza sui combustibili fossili e il carbone. Trattativa fino all’ultimo minuto alla conferenza sul clima di Glasgow alle prese con il rifiuto dell’India di abbandonare rapidamente il carbone per la produzione energetica. L’India ha fatto inserire un emendamento sul carbone, principale fonte di emissioni di gas serra, e i sussidi ai combustibili fossili, che delude la stragrande maggioranza dei presenti: non si parla più di graduale «eliminazione», bensì di «riduzione». Nessuno se l’è sentita di mettere in discussione apertamente il punto chiave — non superare 1.5° di riscaldamento globale a fine secolo — ma sarà più lento e difficile raggiungere l’obbiettivo con queste premesse. Il risultato migliore del vertice è il segnale di accelerazione che costringe nel 2022 i Paesi a tornare al tavolo con piani più ambiziosi di tagli alle emissioni a medio termine e l’impegno a fare e dare di più, in termini di fondi e know-how ai Paesi vulnerabili.
La Conferenza ha anche completato i negoziati tecnici sul cosiddetto Rulebook dell’Accordo di Parigi, che fissa i requisiti di trasparenza e di reporting per tutte le parti per monitorare i progressi rispetto ai loro obiettivi di riduzione delle emissioni. Il Rulebook include anche i meccanismi dell’articolo 6, che stabiliscono il funzionamento dei mercati internazionali del carbonio per sostenere un’ulteriore cooperazione globale sulla riduzione delle emissioni.
Ma è davvero possibile creare un’economia ad impatto zero che realizzi gli obiettivi dell’Accordo di Parigi ripresi dalla CoP26?
Il maggior contributo che il mondo finanziario potrebbe dare è costituito dallo Scope 3. Lo Scope 3 comprende tutte le emissioni connesse alla mobilità dei dipendenti, all’utilizzo dei beni prodotti e così via. È un indicatore che misura le emissioni indirette di gas serra ricollegate alla catena di approvvigionamento di una società e dei suoi clienti. Ma non è così semplice utilizzarlo in quanto non è così banale rilevare quante emissioni, da monte a valle, ci sono nella filiera produttiva.
Ancora, in vista della CoP26, gli IFRS (International Financial Reporting Standards) hanno annunciato che a partire dal 2022 ci sarà un nuovo comitato di definizione dei criteri ESG (environmental, social e governance): lo ISSB.
L’ISSB, International Sustainability Standards Boards, produrrà una linea completa di standard informativi ESG connessi con gli IFRS. In questo modo sul mercato finanziario ci saranno informazioni qualitativamente più elevate in ambito di sostenibilità. L’ESG comprende tutti i criteri di misurazione delle attività ambientali, sociali e di governance di una organizzazione. Non sono altro che un insieme di standard garantiti dalle società per il raggiungimento di risultati ambientali e al contempo economici.
Conclusione: come diceva l’economista Schumpeter, è grazie al processo di “distruzione creativa” che si arriva all’utilizzo di modelli di business sostenibili e alla conservazione delle risorse.
Concordo con chi ritiene che la pandemia e la conseguente recessione economica costituiscano un catalizzatore per un’economia più verde e, in linea di massima, una maggiore focalizzazione sulle tematiche ambientali, sociali e di governance (ESG), contribuendo a generare un’economia migliore e più sostenibile.