di Ken Gborie Hindolo – Gospa Consulting
Africa e rivoluzione. Due termini che sempre di più vengono ad accostarsi e che riguardano anche le sponde a nord del Mediterraneo, cioè l’Europa. I fatti accaduti nel corso del 2023 nella regione sub-sahariana (cioè, che si colloca al di sotto del deserto del Sahara) confermano questo accostamento sempre più preoccupante a seguito di diversi tentativi di colpo di Stato che hanno destabilizzato un’intera regione. Questi episodi (in Niger, Burkina Faso, Gabon e Mali, solo per citare i più recenti) potrebbero indicare la percezione – diffusa nell’opinione pubblica africana – che la fiducia nella democrazia sia sostanzialmente vana, spingendo la popolazione verso sistemi di governo più autoritari. I più maliziosi potrebbero collegare questo trend con la recente ascesa dell’influenza russo-cinese nel continente africano. Le azioni di queste due potenze, infatti, si sono concentrate molto sul tentativo di ridurre o addirittura eliminare l’influenza Occidentale in questa regione. Tra gli esempi più comuni di queste mosse c’è l’impegno russo e cinese ad utilizzare diverse forme di pagamento che non siano riconducibili alla valuta americana, il dollaro, che resta la moneta di riferimento dell’intero sistema internazionale. Russi e cinesi vengono spesso associati all’instabilità africana in quanto il loro modus operandi sembra essere quello di favorire la presa del potere di leader a loro allineati.
A differenza dei leader sostenuti da Washington o Parigi nel passato, scelti talvolta cinicamente in base alla minore o maggiore possibilità di controllo esterno, russi e cinesi potrebbero invece favorire autorità che, oltre a ribellarsi alle strutture politiche filoccidentali, potrebbero opporsi ad un assetto che tende idealmente alla democrazia. Il disordine potrebbe essere preferito all’ordine se questo aiuta a scacciare le potenze ex coloniali Occidentali dal continente. D’altronde l’Africa rappresenta una forte attrazione sia per il settore privato che quello pubblico. L’attenzione è chiaramente sul comparto delle riserve minerarie e metalliche, tra cui spicca l’oro, ma anche nel settore infrastrutturale e tecnologico. Data la rilevanza fondamentale del continente, è utile osservare e continuare a monitorare lo sviluppo dei regimi in cui si sono verificati colpi di Stato, per capire sia come si potrebbero muovere gli altri Paesi della regione, sia quanto gli investimenti esteri siano influenzati dal “disordine” piuttosto che dall’”ordine”. In questa cesura di governance di tipo politico-istituzionale si innesta poi quella di tipo economico-monetario. Il desiderio di molti Paesi africani è anche quello di separarsi dal CFA (Franco dell’Africa Occidentale) che ha un forte impatto di tipo neocoloniale (francese) sui sistemi statali, privandoli di una parte importante di sovranità: quella monetaria Ma l’inizio della fine della “Francafrique” potrebbe avere una ricaduta senza precedenti anche sul resto dell’Occidente.
Ciò, infatti, crea un’opportunità per le potenze antioccidentali di aumentare il loro soft power e influenzare le strutture valutarie in Africa. Questo potrebbe avvenire legando strettamente la loro valuta (ad esempio lo yuan cinese) ad una nazione africana strategica dal punto di vista minerario ma debole dal punto di vista economico-finanziario. Ci sono poche possibilità che questi Paesi si sottraggano a un’alternativa che percepiscono come effettivamente funzionante. Un altro fenomeno chiave che emerge dalla crisi dei colpi di Stato africani è la richiesta di riparazioni/compensazioni verso le ex potenze coloniali. Non c’è da stupirsi, quindi, se lo scorso agosto, Pechino ha spinto – con successo – affinché Iran, Arabia Saudita ed Egitto entrassero a far parte del blocco BRICS, ponendosi così come candidata al ruolo di alfiere del Sud Globale, di cui l’Africa è certamente un pilastro cruciale. Alcuni analisti osservano inoltre che le navi cinesi potrebbero non essere attaccate dai ribelli Houthi nello stretto di Bab el-Mandeb, nel contesto della crisi che si sta consumando nel Mar Rosso, a seguito dello scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas. Questo poiché Pechino non viene percepita come una potenza di stampo neocoloniale o paternalistico, ma piuttosto come un partner o un attore alla pari (diverso è cosa pensa la Cina dei suoi “partner” africani!).
È chiaro quindi che la tenuta degli ordini democratici in Africa è minacciata e vale la pena ricordare che la promozione della democrazia a livello globale è costruita quasi interamente sulla posizione della comunità internazionale a guida americana. Un fallimento di questa comunità internazionale si potrebbe quindi inavvertitamente tradurre in un fallimento della democrazia. La crescente popolarità dei sentimenti antioccidentali tra i giovani africani è anch’essa motivo di preoccupazione, considerando che la popolazione giovanile africana è in costante crescita e potrebbe diventare la più numerosa al mondo nel giro di pochi anni. In questa fase di sconvolgimenti istituzionali africani, l’Italia sembra più incline ad affrontare il problema in quanto potrebbe essere la prima a subirne potenzialmente le conseguenze più negative. L’attuazione del Piano Mattei e delle sue politiche, che mirano a introdurre un sistema circolare di migrazione e una struttura di cooperazione energetica ed economica tra Paesi africani e Italia, potrebbe contribuire a frenare questi sentimenti. Si tratterebbe, nel caso di pieno coinvolgimento e sostegno dell’Europa nella sua totalità, di un’azione coraggiosa per riparare la cosa forse più fragile ma contemporaneamente più importante: la fiducia, ormai ferita, nei confronti dell’impegno Occidentale.