Margherita Lucini – Go-Spa Consulting
La società in cui viviamo è descrivibile con i termini di chiara derivazione filosofica come capitalista e consumista, accompagnati da altri aggettivi più “moderni” tipo fervente, connessa ed ultraveloce. Questo lo si deve al fatto che il suo carattere economico è sempre più finanziarizzato e fondato su grandi aziende multinazionali (big corporate), che incarnano quello che già Karl Marx, con la sua teoria, condannava: squilibrato possesso delle macchine (per la produzione) da parte di un singolo (o singoli). Oggi i grandi imprenditori spesso non possiedono più fisicamente la macchina, bensì titoli, terreni, azioni societarie, ma comunque lo squilibrio di fondo rimane. A queste contraddizioni la filosofia ha cercato di dare risposta con l’elaborazione di teorie “economiche”, per analizzare di volta in volta i diversi tipi di società. Tra le tante quella che ha sicuramente avuto maggior successo, è quella utilitarista.
La teoria filosofica utilitarista nasce nel 1780 con Jeremy Bentham, e pone la ricerca dell’utile individuale o sociale come motivo fondamentale dell’agire umano. Essa fonda quindi la morale sul principio di utilità. Se qualcosa accresce il piacere, è automaticamente una scelta buona. Dato il grande successo a livello europeo, viene subito adattata all’impianto economico, tralasciando però il suo aspetto più filosofico. Infatti, il principio alla base dell’utilitarismo è molto semplice, ed è applicabile in modo universale: ogni uomo per natura ricerca il piacere e fugge il dolore. Questo bene, però, nella società attuale non è quasi mai solo quello “morale”, il benessere dell’animo, ma coincide sempre di più con il vero e proprio bene materiale!
Questo sviluppo distorto della teoria utilitarista è ben visibile ad oggi, dove il bene materiale è tra i primi veicoli per dimostrare lo status sociale (ad esempio attraverso il possesso di oggetti di lusso, automobili, dispositivi tecnologici…). L’ostentazione della materialità illude gli individui di sentirsi felici e realizzati. Si tratta di una mentalità ben lontana da ciò che Bentham intendeva. Egli, infatti, pensava che ogni soggetto di volta in volta dovesse scegliere la soluzione migliore per realizzare la propria felicità. Soluzione che può non essere quella che passa attraverso l’accumulazione di beni materiali, come invece sembrano promuovere gli ideali di consumo della società attuale. L’obbiettivo finale dell’economia, secondo la teoria utilitarista, dovrebbe quindi restare resta quello di massimizzare i piaceri e minimizzare i dolori, sempre secondo il noto motto benthamiano: “Il massimo della felicità per il massimo numero di persone”. Inquadrando questa teoria alla luce del risultato della Conferenza sul Cambiamento Climatico (COP27) appena conclusasi a Sharm El Sheik è evidente che nemmeno per quanto riguarda il rispetto dell’ambiente la nostra società è riuscita a perseguire il bene “morale”. L’attestazione dell’inevitabile aumento della temperatura globale di 1.5° è proprio sintomo dello sfrenato sfruttamento delle risorse, specialmente quelle fossili e altamente nocive per l’atmosfera, che rischia non solo di non ridurre i “dolori” della collettività, ma persino di aumentarli per tutti i milioni di migranti “climatici”, e non solo, che subiranno gli effetti del cambiamento climatico di origine antropica.
Anche un altro famoso filosofo, Immanuel Kant, non sarebbe orgoglioso della mentalità dell’iper-consumismo, non essendo questo un atteggiamento retto, che non risponde all’imperativo universale del vivere secondo morale, e che si riflette nella consapevolezza delle conseguenze future delle proprie azioni. Potremmo, infatti, chiederci quanti siano realmente i consumatori responsabili che si pongono domande basilari, che riprendono gli insegnamenti dei filosofi. Ad esempio: Sto facendo “il Bene”? Sto ponendo in primo piano ciò che è socialmente giusto, o solo me stesso? Quel che è certo è che l’accumulazione di un numero sempre maggiore di beni e risorse in tempi rapidissimi e la produzione nella logica “usa e getta”, non sembrano essere un modo di operare orientato al futuro, anche nel rispetto della Terra, oltre che degli esseri umani.
I rischi di tale processo? Prosciugare inesorabilmente le risorse e aumentare esponenzialmente l’inquinamento atmosferico. Si tratta in realtà di un pericolo duplice, sia per la salute delle generazioni future, che per l’attuale assetto economico, che a lungo andare non può che risultare insostenibile e profondamente fragile. Ecco, quindi, che la filosofia ci aiuta a identificare alcuni possibili azzardi della società dell’iper-consumismo sfrenato. Lo scenario più probabile, prospettato dalla filosofia e convalidato anche dall’analisi del mercato, è infatti quello di un aumento sproporzionato dei prezzi delle materie prime industriali ed energetiche, che dovranno soddisfare i bisogni consumistici (e non solo) di una popolazione in costante incremento (nel mese di novembre 2022 le Nazioni Unite hanno registrato il raggiungimento della quota di 8 miliardi di persone sul pianeta!). Aumento che sta evidenziando livelli di sostenibilità sempre minori anche per l’acquisto e l’accaparramento di beni di prima necessità, in primis il cibo. Sarà forse quello il passaggio obbligato (o il punto di non ritorno) per l’essere umano, oltre che per il pianeta, al fine di spostare l’attenzione dall’illusoria felicità “materiale” a quella autenticamente “spirituale” prospettata da Bentham e Kant?