Commento musicale: L. Nono, La lontananza nostalgica, utopica, futura
Sembrava eterno.
Uno sviluppo illimitato, come l’economia postbellica.
Chitarra elettrica, emancipazione sociale, nobilitazione della figura del giovane: mai visto prima.
Nato nell’epoca del culto della modernizzazione, maturato in anni di lotta e speranza nei grandi varchi aperti dall’arte contemporanea: jazz e tabula rasa dei compositori del Novecento.
Una nuova lingua per la musica, l’inglese, moda e modo d’essere – quindi morale – dirompenti, come l’impatto di massa, imparagonabile a quello delle arie d’opera del secolo prima.
Occidentale e mondiale, come le idee di sviluppo, progresso, rivoluzione: uno dei migliori cocktail forgiati dalla storia.
Tre/quattro elementi di base come quelli delle cosmologie di un tempo, capaci di sintetizzarsi in migliaia di identità, di nomi di successo.
Nell’epoca d’oro, dalla metà degli anni ’60 alla fine dei ’70, un impegno incessante in ricerca e ridefinizione di forme – come l’arte contemporanea, sempre lei – fino alla loro distruzione, alla distruzione materiale degli stessi strumenti (Wind Thing, Jimi Hendrix, con Janis Joplin e Jim Morrison trinità martire).
Poi la Forma, la grande montagna da scalare per l’ennesima volta, è tornata pietra angolare, in tutte le arti. La tecnologia dell’epoca, raggiunti i suoi estremi, si rinchiude come al solito nella tradizione, corretta o corrotta a seconda dei punti di vista. Il ritorno alla normalità, dopo 4’33” di Cage, prevede un pubblico che tace e un piano che torna a suonare Chopin (anche se Chopin avrebbe preferito Cage). E come dopo il compositore diventa di moda il direttore d’orchestra così, nel rock, il successo di moda è roba del produttore.
Oggi, nella geriatria autunnale delle band classicizzate (che impressione facevano negli ’80 i 40 anni di Dio – Ronnie James), annaspando fra revival e vintage, si cerca di esorcizzare l’inverno. Quanto pesano i volti invecchiati in una musica che dell’immagine aveva fatto un punto di forza! Immaginali ancora giovani e leggeri nell’etere, oltre le Fasce di Van Halen, ma nella Terra della caduta dei gravi Bowie è morto e Sisifo trascina i Marshall mentre si sbaracca il concerto.
Penso e temo un parallelo con la grande tragedia greca, ateniese – e il rock dei grandi è soprattutto tragico: “Cry, Baby” “Breve è la vita, chi insegue troppo grandi destini non gode il momento presente” (Joplin/Euripide “Baccanti”) – che durò 70 anni o giù di lì per chiudersi in un silenzio che, tranne alcune voci disperse nei secoli, giunse fino all’epoca shakespeariana.
Parallelo discutibile, come un’analisi storica fatta di alti e bassi o, peggio, “decadenze”. Ma qui più che lo storico parla l’artista e, pur facendo appello alla ragione e a un nuovo salto di qualità tecnologico ed estetico, non può nascondere l’ennesima scarica elettrica al cuore “With a Little Help from My Friends” (Joe Cocker, Woodstock, 1969).
Con fatica, come sempre, dovremo andare oltre.
Luca Traini