EDUCAZIONE ALIMENTARE
Ben ritrovate su Ojas benessere.
Proseguiamo gli approfondimenti sull’argomento educazione alimentare.
E’ la volta di ortaggi, legumi e cereali. Con la parola ortaggi definiamo parti diverse di molte piante. Di
alcune si usano i frutti (peperoni, pomodori, cetrioli, zucchine, melanzane), di altre le foglie (lattuga, cavolo, spinaci), di altre ancora radici (carote, rape), il fusto (sedano), i semi (piselli, fagioli) o fiori e infiorescenze (cavolfiore, broccolo, cappero, carciofo). Esclusi i semi e le radici, contengono bassa percentuale di proteine e anche oltre il 90%d’acqua (no patate e cereali). Alcuni ortaggi si possono consumare sia crudi che cotti, altri necessitano di lunghe cotture andando così a ridurre la percentuale di sali minerali e vitamine, è quindi consigliabile berne il brodo (meglio se proveniente da agricoltura biologica). Proseguiamo il nostro viaggio su e giù per l’Italia, alla ricerca di alcuni significativi marchi IGP e quindi di prodotti altamente consigliati per la nostra alimentazione.
Degno di primato è il Cappero di Pantelleria, prodotto fin dall’età classica, lodato da poeti greci e latini per il fiore e il sapore. Si tratta per la precisione di una varietà la Capparis inermis, unica per il caratteristico verde tendente al senape e per l’odore penetrante e aromatico. Del cappero si
mangiano i boccioli, che raccolti e lavati vengono salati e marinati in aceto. Pantelleria essendo un’isola di origine vulcanica e poco piovosa, è un ambiente ideale per la coltivazione, che è divenuta coltura
specializzata, fornendo agli isolani una fonte di reddito tra le più importanti. Lo stesso rapporto con il
terreno di produzione caratterizza un prodotto IGP come il fungo di Borgotaro, la cui rilevanza commerciale si può far risalire al Settecento.
Prodotto sull’Appennino parmense versante toscano ed emiliano, ha caratteristiche organolettiche uniche, consistenza spugnosa, odore e sapore gradevole, colore dal bianco/nocciola al bruno/rossiccio. Va puntualizzato che il terreno può costituire da solo motivo di bontà e tipicità di un prodotto, spesso però questo è favorito dalla selezione compiuta nel corso dei secoli.
E’ questo il caso del peperone di Senise, valli del Sinni e Agri (fra le province di Potenza e Matera). Polpa
sottile e basso contenuto d’acqua rendono la varietà Senise unica e ottima per l’essicazione, punto di forza della tradizione lucana. L’Italia ospita anche gli unici due carciofi riconosciuti a livello comunitario, Il
Carciofo di Paestum e il Carciofo romanesco, introdotti dagli arabi. Altra pianta “punto di riferimento” per
buongustai è il Pomodoro di San Marzano e dell’Agro Sarnese-Nocerino, giunto nell’Agro fra Napoli e
Salerno dall’America, grazie agli spagnoli. Entra a far parte della cucina partenopea nel Settecento,
inseparabile compagno della mozzarella nella preparazione della pizza Margherita. Il pomodoro Pachino è una produzione più recente (IG Sicilia orientale).
La particolarità in genere dei nostri ortaggi è che sposano perfettamente zona di produzione e piatti tipici regionali. Un esempio è lo Scalogno di Romagna, spesso scambiato per cipolla ma dal sapore forte e deciso, ricco di sali minerali e molto amato in cucina. I contadini romagnoli lo raccolgono tra luglio e agosto, lo conservano al buio e all’asciutto, così da poterlo usare fino alla primavera successiva. Importato dalla Francia, in realtà in Romagna si incomincia ad utilizzarlo da XXII secolo.
In Veneto troviamo un bell’esempio di incontro tra storia e territorio., con le due varietà di radicchio IGP, il Radicchio rosso di Treviso e il Radicchio variegato di Castelfranco. IL Radicchio, per entrambe le varietà, viene sottoposto fin dal Rinascimento ad una “ forzatura”. Consiste nel mettere i ceppi in una
condizione di scarsa illuminazione, in maniera da far buttare nuove foglie che sono quasi del tutto prive di clorofilla e mettono in evidenza il colore rosso, perdono la consistenza fibrosa, assumono croccantezza e aroma amarognolo. Una tecnica simile vale per l’Asparago bianco IGP di Cimadolmo. E che dire della
Lenticchia di Castelluccio?
Viene coltivata a 1300m sul livello del mare, sui monti Sibillini. Ricca di proteine, vitamine, ferro, potassio e altri minerali, pur essendo solo di 2 mm di diametro. Una varietà dalla morbida buccia, tanto da non dover essere ammollata, e perfino resistente agli insetti da non aver bisogno di pesticidi.
Storia fortunata anche per il fagiolo di Lamon dell’Alta Vallata Bellunese. Nel 1532 l’umanista
Pietro Valeriano riceve in dono da Papa Clemente VII alcuni semi di fagiolo e li porta nel bellunese. Anche il fagiolo di Sarconi (Basilicata), ottenuto da semi di cannellino e di borlotto, ha caratteristiche che lo fanno apprezzare sia fresco che secco. Cresce a 600 m nell’ Alta valle dell’Agri (Potenza), viene seminato tra maggio e luglio a 6 cm di profondità e in file che si distanziano 50 cm l’una dall’altra. Per quanto riguarda i cereali ricordiamo il più antico: il farro. Le sue origini: Mesopotamia, Siria, Egitto, Palestina, dove era già coltivato settemila anni prima di cristo. In Italia si è adattato bene solo in Garfagnana. E’ comparso in epoca etrusca e resistito anche quando in altre parti d’Italia andava scomparendo. La coltivazione del farro non fa ricorso a sostanze chimiche. Nemmeno i chicchi raccolti e seccati vengono sottoposti ad antiparassitari.
Sempre dalla Garfagnana e precisamente da Neccio, proviene la farina di castagne DOP.
Anche la storia del riso è antica come quella del farro ma la sua introduzione è più recente. La ritroviamo
nella varietà conosciuta come Vialone Nano, creata presso la Stazione di Sperimentazione di Risicoltura di Vercelli. Incrocia la varietà di riso Nano e la Vialone. La messa in coltivazione risale all’anno 1937. Vent’anni più tardi il Vialone Nano arriva a Verona con la dicitura Vialone Nano Veronese ed è l’unico riso italiano ad aver ottenuto un riconoscimento IGP ed è ricavato solo da semi della specie Japonica. Nonostante la lavorazione non sia più affidata alle mondine ma a macchinari appositi, il riso non subisce manipolazioni né è sottoposto a trattamenti chimici.
La zona di produzione è caratterizzata da acque dolci e pure, “acque di fontanile”. Come la Lenticchia di Castelluccio, viene coltivato a rotazione. Ma il cereale dominante in Italia, si sa, è il grano.
Pur non avendo riconoscimenti particolari abbiamo tre IGP per tre pani a rappresentare Sud, Centro, Nord. Italia. Dalla Puglia viene il Pane di Altamura, caratterizzato da una lavorazione e da un tipo di lievito che si tramanda da generazioni. Prodotto in varie forme con una miscela di farine di grano duro viene cotto su legna di quercia. E’ laziale il Pane casereccio di Genzano. Storicamente era lavorato da
ogni singola famiglia e cotto in forni detti “soccie”. Il successo di questo pane sta nella bravura dei
panificatori ma anche dalla qualità della farina e dal lievito, ricavato dall’impasto della precedente
lavorazione e fatto acidificare. Dal nord viene la coppia Ferrarese, detta “ciupèta”, a forma di X, presente
già nel 1500. Per la facilità a seccare sulle punte, è molto apprezzato nelle cucine di questa parte dell’Emilia per il brodo, passatelli o budino di pane.
Eccoci al termine di questa breve carrellata, spero stimolante. Lascio a voi continuare la ricerca in questo
“mondo” nutriente, appetitoso, di grande sostegno alla salute.
A presto, con altre curiosità, da Ojas benessere!